sabato 27 gennaio 2018

La cultura della perfezione apparente




Sei anni appena compiuti. Un animo pieno di entusiasmo, di domande infinite, di voglia di sorprendersi, di assorbire le meraviglie che sembrano nascondersi dietro ogni angolo.
Gli occhi scavano nei libri pieni di figure incredibili e misteriose, di simboli sconosciuti e affascinanti. "Leggimi questo! Fammi vedere il film di quando Neil Armstrong è arrivato sulla luna! Ma ci sono veramente delle esplosioni nel motore di una macchina? Lo sai qual è l'animale più grande che sia mai vissuto? Voglio vedere il monte Everest! Quando ci andiamo?"
E poi arriva la scuola, e piano piano quella luce che brillava potente, quasi accecante, nei suoi occhi, si spegne ogni giorno un pochino, quel fuoco incontrollato si lascia ammaestrare, si affievolisce, si contiene in una forma preconfezionata. E il mio cuore si stringe al pensiero che una mente così brillante, per molti tratti fuori dal comune, venga plasmata per adattarsi ad una perfetta mediocrità.
Qui in Austria ogni bambino, prima di essere "ammesso" alla scuola elementare deve fare un test.
Matematica, lettura, motricità, logica, capacità sociali. Tutto viene analizzato, soppesato con cautela.
Se un bambino non entra nei criteri di "normalità" non può accedere alla prima elementare, ma deve frequentare almeno un anno di Vorschule (pre-scuola). Ma quali sono questi criteri e chi li ha fissati?
Nessuno lo sa, sembra che una sorta di "senso comune" dei due docenti che sottopongono il bambino a questi test possa deciderne l'appartenenza o meno alla normalità. 
È preferibile che un bambino sappia fare addizioni e sottrazioni ad una cifra, sappia leggere e scrivere parole ad una o due sillabe, sappia memorizzare e riprodurre delle combinazioni di ritmi, risolvere test di logica del tipo "Qual è l'intruso tra cane, casa e chiocciola?".
Cosa rispondereste voi? Probabilmente che ci sono diverse soluzioni: tipo che l'intruso è casa perchè non è un animale, oppure è cane, perchè la chiocciola si porta in giro la casa. E invece no, la risposta esatta è chiocciola, perchè è l'unica parola che non inizia per "ca". 
Questa è una delle domande a cui mio figlio ha risposto erroneamente. Dobbiamo farlo esercitare di più con le sillabe, ci hanno detto. Ah, e i muscoli della mano destra non sembrano abbastanza forti per scrivere dettati lunghi, quindi dovremmo fargli fare della ginnastica per le mani.
Non sto scherzando. Ce l'hanno detto veramente.
Mio figlio è stato ammesso alla prima elementare, anche se "è abbastanza introverso, e normalmente l'estroversione, anche se non esagerata, è preferibile."
Ricordo quel giorno come uno shock. Mi si è aperto un mondo. Un mondo che non avrei voluto conoscere. Un mondo fatto di apparenza, superficialità, discriminazione, cultura della mediocrità.
Ne ho parlato con diversi genitori, persone che reputo sensibili e di cultura, e purtroppo ho scoperto di non essere l'unica a sentirsi profondamente schifata di fronte ad una repressione sistematica della diversità.
La mediocrità, la "gestibilità" di carattere, la passività, hanno trovato in questo tipo di cultura un terreno molto fertile. I bambini che entrano nel sistema educativo dall'asilo nido, vengono visti più di buon occhio, sanno già come funziona, sanno controllarsi meglio, danno meno problemi di quelli che iniziano a tre anni. Infatti le istituzioni spingono le madri a riprendere la propria attività lavorativa sempre più precocemente, nonostante l'Austria sostenga economicamente le famiglie almeno fino al terzo anno di vita del bambino, proseguendo con aiuti economici che si protraggono fino al diciottesimo anno di vita!
In Austria sono veramente poche le famiglie in cui entrambi i genitori sono costretti a lavorare per mantenersi, contrariamente all'Italia, dove spesso la madre non ha proprio scelta!
Nonostante questo la cultura di questo paese, spesso confusa con una sorta di femminismo, spinge all'abbandono precoce della prole! Una dottoressa, incinta all'ottavo mese del terzo figlio, mi spiegava per esempio come la sua bambina non ancora nata, fosse già iscritta a nido, che avrebbe cominciato a frequentare al compimento del nono mese. Mi ha detto di aver parlato con i migliori neuropsichiatri infantili, dato che il suo primo figlio era nato prematuro, e tutti le avevano confermato che l'asilo nido, ancor prima del compimento dell'anno, era la cosa migliora per ogni bimbo, soprattutto prematuro.
WOW. Ma certo, il distacco precoce dalle figure di riferimento, soprattutto per un carattere particolarmente sensibile e bisognoso di cure, come quello di un prematuro, non può che essere la soluzione migliore. Lo dice anche il buon senso, no?
Meglio che si abitui subito al fatto che viviamo in un mondo spietato, in cui siamo soli, in cui ognuno deve pensare al proprio esclusivo benessere, in cui più presto ti adegui ad un'idea di normalità preconfezionata, più successo avrai. Spera solo di non ammalarti mai, soprattutto di una malattia che magari ti renda imbarazzante, che disturbi quella quiete apparente e tanto adorata dal tuo prossimo, perchè sai già cosa ti aspetta: l'isolamento. 
In più di quindici anni passati a Vienna, ricordo di aver visto per strada forse 2 o 3 bambini con la sindrome di Down, le uniche persone con problemi mentali che ho visto erano senzatetto nella metropolitana e un gruppo di ragazzi di un istituto che una volta la settimana frequentavano il arco giochi vicino a casa mia.
I bambini cosiddetti "normali" non fanno praticamente mai l'esperienza di confrontarsi con persone diversamente abili, e questo impoverisce entrambi, gravemente.
L'Italia non funziona per molti aspetti, ma devo dire che per quanto riguarda l'integrazione del diverso  pur avendo essa stessa enormi lacune in particolare nell'integrazione dello straniero), sicuramente ha molto da insegnare alla "perfetta" Austria.
Ma io non mi arrendo, eh! Ci sono tante persone che la pensano come me anche qui, e sicuramente non staremo immobili di fronte al fiorire della cultura della discriminazione!

lunedì 22 gennaio 2018

Casa




Tra una maglietta e l'altra da stirare, cedo al richiamo della tastiera, e alle immagini nella mia mente che cercano spazio in una pagina bianca.
E ritorno per qualche istante a camminare tra le strade strette della mia città natale, quella città che per anni mi ha ispirata, mi ha fatta innamorare, mi ha fatto sentire viva. Una città che ho sempre amato profondamente, anche quando mi stava stretta, anche quando volevo lasciarla, anche quando la maledicevo per il male che mi aveva fatto. Quella città a cui cerco di non pensare, perchè la lontananza a volte sembra lacerarmi, a volte mi prende di sorpresa, come una fitta al fianco, e mi brucia gli occhi ed il petto.
A volte è solo il ricordo di una vetrina di un panificio, delle pietre di un ponte, di un posto segreto in un giardino segreto. A volte è il volto di uno sconosciuto, che scambio per quello di un vecchio amico che so di non poter incontrare qui, nella città dove vivo e dove veramente a casa non mi sento.
Sentirsi a casa! Che sensazione sbiadita, che desiderio impossibile! Casa non esiste, almeno non nel modo che conoscevo da bambina. Quella sensazione che tutto mi appartenesse, quel sentirsi in diritto di camminare in un luogo e chiamarlo proprio, sentirlo parte di sè, nei colori, neglio odori, nei volti, nelle parole scritte ed ascoltate.
Ho il diritto di essere qui. Questa è casa mia, ne conosco ogni angolo, ne ho esplorato ogni vicolo, ho scavato tra le rughe dei suoi anziani abitanti, sangue del mio sangue, e ne ho letto le storie, ho respirato le nebbie puzzolenti di fumo e ne ho portato addosso l'odore con fierezza. E poi me ne sono andata, portando con me una valigia piena di ricordi ed ambizioni, sicura che per sempre quella sensazione avrebbe fatto parte di me, che quelle radici mi avrebbero seguito, allungandosi con l'allontanarsi dei miei passi.
Ed invece con il tempo la mia città è cambiata, lontana da me, e i ricordi non combaciano più con la realtà.
E quella ragazza inquieta che vagava per quei vicoli in cerca di qualcosa che non sapeva nemmeno cosa fosse, ha trovato una sua serenità lontano dalle proprie radici, per caso.
Ha perso quella sensazione di casa, scoprendo di potersi trovare a proprio agio in mille posti diversi, ma sempre fino ad un certo punto. Ha capito che casa non è una città, non è un posto solo, ma è sentirsi al sicuro con le persone con le quali ha scelto di condividere il cammino, ovunque esse siano.
È un posto che si porta dentro, dal quale era fuggita per anni, una foresta buia ed intricata che lentamente ha trasformato in un giardino pieno di sole.
Questa sensazione, questo smarrimento misto ad un senso di appartenenza al proprio passato e al proprio presente, ovunque esso sia, è quello che mi fa sentire contemporaneamente priva di una patria, ma a mio agio in strade sconosciute. Non comprendo proprio il senso della parola "patria", non l'ho mai compreso. Ho sempre sentito, nel mio profondo, che ognuno nasce in un luogo per caso, che nessuno dovrebbe sentirsi fiero di una storia scritta da qualcun'altro o di vergognarsi di un passato che qualcun'altro ha plasmato per lui. Siamo parte di un luogo che farà per sempre parte di noi, che ci renderà forti, o ci distruggerà, o farà probabilmente entrambe le cose. Ma la nostra personale storia, il nostro cammino, ha spazio per mille altri luoghi, che forse non chiameremo mai casa, ma distruggeranno le mura di quella fortezza che pensavamo dovesse proteggerci, e ci apriranno un orizzonte fatto di spazi infiniti.
Ed ora vado ad impastare la pizza, che si è fatto tardi.

mercoledì 17 gennaio 2018

Beh, lo parli abbastanza bene l'italiano...



Mi presento.
Sono la Titti, sono italiana ma non lo dimostro...lo porto bene, diciamo,il fatto di essere italiana.
Sono nata in Veneto e vivo da molti anni a Vienna, una delle città meno accoglienti d'Europa.
Ma non lo dico io, eh! Lo dice uno studio pubblicato lo scorso settembre su tutti i giornali, in cui l'Austria conquista il 64esimo posto (su 65) per quanto riguarda l'amichevolezza. Per chi fosse interessato, può trovare tutti i risultati dello studio qui.
E pensare che non me n'ero proprio accorta.
In 15 anni di vita da expat, in cui giro per questa città da italiana in incognito, non mi ero proprio accorta dei musi lunghi, della completa mancanza di cortesia di una qualsiasi commessa di una qualsiasi negozio in un distretto qualsiasi, degli sguardi ostili della gente con cui ho cercato invano di iniziare una conversazione qualunque su un tema qualunque.
Ma grazie a questo studio, tutto mi è apparso chiaro. L'Austria non è un paese di amiconi.
E io in questo paese riesco a mimetizzarmi benissimo. Almeno così mi fanno credere le reazioni delle persone ogni volta che rivelo il mio paese d'origine.
"Sì, ma sei italiana tipo del Sud Tirolo..." "Vabbè, avrai i genitori italiani, ma sei cresciuta qui...giusto?" "Beh, lo parli abbastanza bene l'italiano...però italiana no..." "Sì ma quell'accento lì che hai quando parli italiano...non è quello solito...cioè quello che si sente in tv..."
Questi sono solo alcuni dei fantastici commenti che mi sono sentita dire in questi anni.
 Non sembro italiana, non ho un accento italiano, perfino quando parlo italiano non parlo l' italiano "vero". Non urlo quando telefono, non gesticolo in maniera incontrollata, non parlo come in una pubblicità di gelati italiani per austriaci, non inserisco parole italiane in una conversazione quando parlo tedesco. Anche perchè non ne avrei il tempo, dato che le conversazioni medie durano 30 secondi, vista la cordialità austriaca.
Eh sì, l'acidità è un tratto distintivo del mio carattere, così come la tendenza a lagnarsi in maniera esagerata, senza però mai perdere la speranza nel fatto che qualcosa potrà cambiare e cambierà. Perchè il cambiamento è parte della vita. Soprattutto quello verso il peggio.
Scherzo, naturalmente. Sono una pessimista che crede nel lieto fine.


La cultura della perfezione apparente

Sei anni appena compiuti. Un animo pieno di entusiasmo, di domande infinite, di voglia di sorprendersi, di assorbire le meraviglie che...